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Mag-Series intervista Paolo Romio: protagonista della stagione di fiction di Rai Uno

Paolo Romio, attore giovane e pieno di talento, si è fatto conoscere quest’anno con due ruoli importanti nella fiction di Rai Uno. Di Io e Mio Figlio (ieri è andata in onda l’ultima puntata della serie) molti si ricorderanno di Yuri, lo scienziato che aiutava il commissario Vivaldi a trovare l’assassino di Irene Ferrer. E lo abbiamo ritrovato nell’altra grande produzione di Rai Fiction, il tanto lodato C’era una Volta la Città dei Matti, con occhialini e baffi a fare lo psichiatra. Dice di vivere un sogno. Noi abbiamo colto l’occasione per conoscerlo meglio e parlare delle sue esperienze professionali.

Le informazioni su di te sono poche, racconta un po’ il tuo background. Ho letto che sei di madrelingua inglese e hai finito la scuola di recitazione a New York.

Io sono Italiano, e scherzosamente posso dire che la mia prima lingua è il Dialetto. Perché in dialetto erano i racconti di mia nonna. Poi negli anni, ho avuto modo e la fortuna, grazie ai miei genitori, di studiare e di andare a vivere negli USA.

Mi sono laureato in Anglo-Americano all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Mentre studiavo ho vinto una borsa di studio e mi sono trasferito ad Atlanta. Da lì a New York il salto è stato breve, diciamo così. A New York, mi sono diplomato alla New York Film Academy e nel frattempo ho fatto privatamente dei corsi per imparare l’accento americano. A distanza di tempo, con molta dedizione e un po’ di orecchio, ho raggiunto l’obiettivo. Quando parlo con Americani, pensano io sia Americano. Per questo madrelingua.

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A quali progetti hai partecipato negli USA? Teatro, cinema…

Negli Stati Uniti ho fondamentalmente studiato. Per poter lavorare, serve la Carta verde ed io avevo un visto studente. Una cosa abbastanza normale, che succede a chi va a studiare negli USA.

Io e Mio Figlio è il tuo primo impegno nella fiction televisiva?

No, uno vede la risultante, ma il percorso per arrivarci è stato un po’ lungo e per moltissimi aspetti non ancora concluso. La primissima cosa che ho fatto è stata una puntata di Ris, qualche anno fa e per arrivare a quella, c’erano stati vari provini. La situazione è un po’ più complicata dall’interno.

Io e Mio Figlio è un progetto che mi è arrivato perché la casting stava cercando nuovi volti, quindi mi ha dato la possibilità di fare un provino, che poi ha portato ad un altro provino e alla fine all’assegnazione della parte.

E’ stato difficile per te interpretare Yuri, in pratica uno scienziato fragile e in crisi per la perdita della madre?

Quando ho fatto il primo incontro, non si era ancora delineato bene il carattere del mio personaggio. Si sapeva che Yuri aveva dei problemi e che poteva essere autistico. Ma l’autismo ha varie forme, vari colori. Proprio per riuscire a servire al meglio la sceneggiatura e dare dignità a questo personaggio, ho cercato di capire quale potesse essere il suo “limite”. Il confine del suo problema. Così, facendo molta ricerca, chiamando miei amici che hanno studiato psicologia, un altro mio amico che ha studiato ingegneria sono arrivato alla conclusione che Yuri soffrisse della Sindrome di Asperger, forma particolare di autismo. Non tutti sono Rain Man, molti sembrano “normali” in apparenza, ma hanno delle routine particolari.

Fortunatamente, trovata questa chiave di lettura, ho cercato e ho trovato su internet la storia di un ragazzo inglese che aveva molto di Yuri. Un genio della matematica, che aveva “rapporti sinestetici” con i numeri, crisi di epilessia e molto altro. Quella è stata realmente, la mia fonte di ispirazione.

Nel farlo, la mia preoccupazione era di non stereotipare o ridicolizzare la sua storia. Perché quando uno fa una fiction, che passa in TV e interpreta certi personaggi ha la responsabilità di raccontare una storia, che probabilmente qualcuno vive nella realtà, e allo stesso tempo intrattenere.

Com’è lavorare con Lando Buzzanca, un personaggio molto forte, decisamente particolare?

Beh, per i primi quattro giorni Lando pensava fossi realmente come Yuri. Poi ha capito che anche fuori scena, cercavo di prepararmi e tenere alta la concentrazione.

Per cui da quel momento, è stato molto gentile con me. Mi ha riempito di complimenti e abbracci. Anche quando abbiamo fatto questa cena di fine produzione, si è speso molto nei miei confronti. Per cui, che dire! Mi rimproverava di non essere ancora sposato! Perché lui alla mia età lo era e aveva già un figlio! Direi grande stima.

Il successo di Io e Mio Figlio e soprattutto di C’era una Volta la Città dei Matti ti ha sorpreso?

Dalle nostre parti si direbbe “me gha ciapà ben!” Sono molto contento perché con Io e Mio Figlio ho avuto modo di rischiare, quindi una grande fortuna. Lavorare nella Città dei Matti è stata per me un’esperienza fortissima umana e professionale. Il fatto di vedere, che i nostri sforzi e quell’atmosfera magica, irreale, onesta che si respirava sul set, si è poi vista anche in TV per me è stata una grande soddisfazione.

Cosa c’è di speciale in Marco Turco? Tutti lo lodano: gli attori, la critica, il pubblico.

Marco è speciale. Punto.

Il destino ti porta a volte ad incontrare le persone al posto giusto al momento giusto. Avevo appena finito di doppiarmi in Io e Mio Figlio. Mi avevano proposto un provino per La Città dei Matti. Luciano Odorisio (regista di Io e mio figlio ndr.) mi ha detto: ‘Paolo, sei stato molto intenso e bravo a fare Yuri. Mi raccomando non ripeterti’. Così, sono andato all’incontro alla Ciao Ragazzi e c’era Marco. Da subito, si è rivelato una persona curiosa e pronta ad ascoltare. Lui mi aveva chiamato per un’altra parte, ma vedendomi dal vivo, ha pensato non fossi adatto per quel ruolo. Ma siccome mi ha trovato interessante, abbiamo continuato a parlare per 50 minuti cercando di capire quale ruolo potesse essere adatto a me.

Alla fine, con il tempo, è arrivato Eugenio Della Casa (il personaggio interpretato da Romio, ndr.). E lì è cominciata la mia preparazione, molto diversa da quella di Yuri. Ho perso 7 chili, messo il baffo, gli occhialetti, letto tutto quel che potevo leggere sulla rivoluzione di Basaglia e dei suo collaboratori.  Perché anche in questo caso il personaggio aveva un riscontro reale. Esiste un professore simile a Eugenio che ha fatto parte della vita e delle lotte di Basaglia. Per cui, posso solo ringraziare Marco per la possibilità che mi ha dato di vivere in un sogno al fianco di alcuni tra i migliori professionisti del cinema in Italia.

E’ stato questo il modo giusto per far conoscere Basaglia al grande pubblico?

Penso e spero che prima di questo progetto ci siano stati altri luoghi e modi di affrontare l’argomento Basaglia. In fin dei conti stiamo sempre parlando di un film. Non penso che le persone si basino su Troy con Brad Pitt per capire e parlare di Omero. Almeno spero!

Il film deve intrattenere, certo, ma parliamo anche di servizio pubblico.

Assolutamente sì. E infatti lì rientra il senso di responsabilità che sento quando mi appresto a studiare un personaggio. Il taglio che poi ne viene dato, onestamente non rientra nelle possibilità di un attore. Il nostro è un altro tipo di lavoro. Ovviamente, capisco che la storia è stata raccontata da un punto di vista e che potenzialmente in un futuro, con altri mezzi, si potrebbe raccontare ancora molto. Su questo non c’è dubbio.

Secondo il mio modesto parere è stato perfetto. Le emozioni che fa affiorare sono forti e danno spunto alla riflessione. Poi, secondo qualcuno basta anche soltanto affrontare un argomento, indipendentemente dal modo in cui viene trattato.

Beh ripeto, a me fa molto piacere, perché per noi tutti è stato importante e sono contento sia stato visto da tante persone. E’ una dimostrazione reale, del fatto che in Italia, si possono raccontare storie nostre, ben scritte, ben dirette! Che possono anche raccontarci all’estero.

Quella che ha fatto Marco Turco è stata una rivoluzione proprio come quella che aveva fatto Franco Basaglia. Se poi aggiungiamo, che ci siamo divertiti come pazzi! Sembravamo in gita scolastica, tutti pronti a far casino e a sostenerci. Un sogno.

Sia Io e mio figlio che C’era una volta la città dei matti sono ambientate a Trieste, come ti sei trovato nel capoluogo Giuliano?

Beh, mi ha fatto sicuramente un ottima impressione, perché è uno scenario ideale, molto elegante e si presta a vari tipi di racconto. Io poi, devo dire che ho un rapporto particolare con la città. Negli ultimi anni, ho conosciuto molti triestini e il primo regista con cui ho lavorato poco dopo essere arrivato a Roma è appunto di Trieste. Gianni Lepre!

Per cui, negli anni, ho avuto modo di conoscere la città e i triestini sotto più punti di vista, fortunatamente non solo dal punto di vista lavorativo.

La Film Commission del Friuli Venezia-Giulia lavora molto bene ed è quindi ovvio che molti progetti partono e prendono luogo lì. Ed è a mio avviso, una cosa importante perché fotografano un altro tipo di Italia. Con degli innesti e una storia particolare.

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Quali serie segui? Cosa guardi in tv?

Intanto devo dire, per fortuna esiste raifiction.it, così se mi perdo una serie o un mio amico all’estero non sa come recuperarle, sappiamo dove andare. Poi, devo dire che come spettatore mi piacciono quei progetti che hanno cuore. Progetti che sono scritti bene e diretti bene! Dove gli attori non giocano a fare gli attori, ma vivono la storia che interpretano.

Cosa guardo in TV: Deejay Chiama Italia con Linus e Nicola Savino.

La fiction è una scelta o in futuro hai anche progetti legati al cinema?

Penso che un attore, finché non diventa produttore di se stesso (sia al cinema, che in TV che a teatro) dipenda comunque e sempre dal destino e dal copione che arriva. L’unica cosa che cambia è il mezzo per comunicare.

Io sono pronto a sperimentare e a esplorare! Questa è l’unica cosa che so di sicuro!

In fondo, come mi ha detto Gianni Amelio poco tempo fa “Che cosa vuol dire essere attore/regista?” “Vuol dire essere una palla di gomma che rimbalza. Gli altri cercano di buttarti giù e tu devi trovare la forza per rimbalzare. Sempre!”

Ringraziamo veramente di cuore Paolo Romio per la disponibilità e la bella intervista. Grazie.

Intervista a cura di Ivan Udovicic

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