Negli ultimi tempi la Cannabis light ha raggiunto una popolarità tale da favorire la nascita di numerosi punti vendita, assolutamente legali. Negozi fisici e virtuali vendono prodotti a base di CBD, tra questi lo shop di Justbob è sicuramente il più importante.
Tuttavia, nell’immaginario comune, quando si parla di Cannabis o Marijuana light, si pensa ancora a droga e stupefacenti, senza sapere che queste varietà di canapa sono totalmente innocue, dal momento che non contengono il principio attivo psicotropo: il THC.
I pregiudizi nei confronti della canapa hanno radici profonde, e solo di recente si sta tentando di dirottare l’attenzione pubblica ai benefici apportati da questa pianta, piuttosto che alle caratteristiche stupefacenti del suo metabolita.
Nell’articolo che segue andremo a fare chiarezza sulla Cannabis light e ripercorreremo le leggi che, nel bene o nel male, hanno regolamentato il suo utilizzo.
Cannabis light: cos’è e quali sono i suoi utilizzi
“Cannabis light” è il termine generico utilizzato per descrivere i derivati della Cannabis sativa privi di THC (tetraidrocannabinolo), o con una percentuale talmente bassa da non essere rilevante. Il THC infatti, è il principale responsabile delle alterazioni psico-fisiche dovute all’assunzione di Marijuana non depotenziata e perciò illegale.
La Marijuana o Cannabis light, invece, oltre ad essere a norma di legge, apporta anche benefici per la salute umana: il principio attivo della Cannabis light è il cannabidiolo (o CBD) che ha attività antidolorifica e antinfiammatoria – grazie al legame che questa molecola ha con alcuni recettori del sistema nervoso centrale – e viene usato anche per combattere ansia e stress. A differenza del suo antagonista (il THC appunto), non è psicoattivo e non causa dipendenza.
Le applicazioni della canapa light non si limitano solo al raggiungimento del benessere psicosomatico in tutta sicurezza; questo derivato della Cannabis sativa infatti, può e viene utilizzato anche in ambito alimentare: con i suoi semi, ad esempio, viene prodotto dell’ottimo pane e anche l’olio da essi derivato ha largo uso in cucina.
Non dimentichiamo poi l’utilizzo in ambito della bioedilizia e dell’industria tessile.
La canapa, dunque, è una pianta estremamente versatile, ma nel tempo ha subito una sorta di demonizzazione che l’ha fatta uscire di scena, fino ad oggi.
Di seguito andremo a ripercorrere la storia della canapa e a capire perché si è arrivati a proibirne l’uso – a prescindere dal suo contenuto di THC – . [Spoiler: per motivi economici].
La canapa: dall’antichità alla Marijuana Tax-act
Originaria dell’Asia centrale, la canapa veniva utilizzata per la produzione di tessuti da mongoli e cinesi molto prima dell’avvento di seta e cotone.
In Cina, in particolare, venne sfruttata soprattutto per le sue capacità curative, diventando la componente principale dei rimedi farmacologici e medici.
Nel XVI secolo cominciò ad essere coltivata anche in Inghilterra e da lì partì la sua diffusione in tutta Europa.
La canapa infatti, è una pianta estremamente versatile e la robustezza delle sue fibre l’ha resa famosa in Europa – e successivamente in America – per la produzione sia di tessuti, sia soprattutto di vele e cordami per le navi.
Il suo utilizzo in ambito navale ha raggiunto l’apice in Italia, durante il periodo delle Repubbliche Marinare e la sua coltivazione si è protratta fino agli anni ‘50.
Con la canapa veniva prodotta anche la carta e fu proprio la carta a decretare la sua “fine”, a partire dall’America. Durante la Seconda Guerra Mondiale, infatti, l’influente e potentissima casa cartaria Hearst aveva da poco effettuato grossi investimenti sulla carta derivata dalle fibre del legno. Era chiaro quindi che la canapa – pericoloso rivale degli alberi – doveva sparire. Fu così che nel 1937 il presidente Roosevelt firmò la Marijuana Tax Act, una legge che proibiva la coltivazione della canapa.
Dall’America, il proibizionismo si estese a molti altri Paesi del mondo e per diversi anni della canapa non si sentì più parlare.
Il valore di questa pianta è però innegabile e a poco a poco la Cannabis sativa ritornò a conquistarsi il posto che le spetta nell’economia mondiale.
In Italia, in particolare, la canapa occupa una fetta enorme dell’economia nazionale e per questo non può essere esente da regolamentazioni.
La Cannabis light in Italia: dalla legge 242/16 al Tavolo della filiera della canapa
In Italia, la coltivazione e la commercializzazione della Cannabis sativa sono regolamentate dalla legge n. 242 del 2016, entrata in vigore a gennaio dell’anno successivo.
Rendendosi conto del valore anche ecologico di questa pianta, la legge sopracitata ne favorisce la coltivazione, attraverso la quale si combatte l’impatto ambientale causato dall’agricoltura e la perdita della biodiversità.
C’è un limite però alla coltivazione: possono essere prodotte e commercializzate soltanto le varietà di canapa che contengono una percentuale di THC uguale o inferiore allo 0,2% e i controlli sono a carico della guardia forestale che ammette una tolleranza dello 0,6%.
Di recente, il 4 febbraio 2021, si è riunito il Tavolo della filiera della canapa che si è posto i seguenti obiettivi: incentivare la produzione della canapa, sostenere le ricerche e le innovazioni tecnologiche, rafforzare le politiche della filiera.
Un enorme passo avanti per la Cannabis sativa e per tutti coloro che gravitano attorno a questa pianta, siano essi coltivatori o venditori di canapa light.
Conclusioni
Il viaggio della canapa nel corso dei secoli ha portato questa pianta straordinaria ad ottenere il riconoscimento che merita. Le sue innumerevoli applicazioni e i benefici che apporta alla salute umana, ne fanno una delle piante più famose e apprezzate al mondo.