Chiara De Caroli: attrice, fotografa ma soprattutto amante dell’arte bella

Chiara De Caroli intervista

Il bello di internet è anche questo: conoscere anche involontariamente degli artisti che in qualche modo misterioso e inspiegabile ti sembra di averli conosciuti dal vivo se non addirittura conoscerli da sempre. Non vuole essere una presunzione ma sin dai primi video dell’attrice e performer Chiara De Caroli, ai tempi della webserie The Ushers ho avuto quelle sensazioni positive che si hanno a pelle, all’istante, come accade dal vivo quando conosci qualcuno.

Chiara De Caroli non è conosciuta al grande e popolare pubblico della televisione tradizionale: è un’attrice di teatro, è una fotografa, è una produttrice, è modella, è stilista ma è un’attrice di quelle che hanno studiato e che non smettono mai di studiare, di scoprire, viaggiare, esplorare. Di quegli artisti, ben pochi ad oggi, che ti arrivano subito, all’istante. Per cui sono onorato di conoscerla anche se solo virtualmente e di averle posto alcune domande che trovate di seguito.

Avrei voluto chiacchierare dal vivo per almeno mezza giornata. Magari un giorno…chissà…

Chiara De Caroli. L’intervista

1 – Attrice, sceneggiatrice, fotografa: una performer in costante crescita ed evoluzione. Ci racconti questa crescita? Quando parte e dove sei arrivata adesso?

Ciao Giuseppe e ciao ai lettori di Teleblog, grazie per questa chiacchierata!

Le vite degli altri mi hanno sempre affascinata: sin da piccola, quando incrociavo un passante per strada, avevo questa immagine in testa, una sorta di linea retta che andava avanti e indietro all’infinito e in cui quell’incontro era un puntino, e mi incuriosiva sapere quali fossero il prima e il dopo di quel momento.

Sono cresciuta in una casa piena di libri, e lo storytelling è parte della mia vita da sempre. Ho iniziato da piccolina con il teatro a Catania, la mia città natale, grazie al prezioso incontro con Gianni Salvo, direttore artistico del Piccolo Teatro di Catania, e quello dalla recitazione alla scrittura è stato un percorso naturale, perché’ tutte quelle storie la’ fuori premono per venire raccontante.

Il rapporto con la fotografia è probabilmente quello più intimo e pudico, il fatto che qualcuno si lasci osservare e ritrarre attraverso i miei occhi è un atto di fiducia, intimo, che vivo con grande affetto verso il soggetto ritratto (ma per carità, non chiamatemi fotografa, è solo una passione che ultimamente ho ripreso a coltivare).

Dal raccontare le vite degli altri allo scriverle all’osservarle e fermarne un attimo attraverso i miei occhi, per me lo storytelling è un atto d’amore.

2 – hai iniziato da laboratori di recitazione, quindi teatro approdando alla webserie The Ushers con Andrea Galatà: parlaci di questo percorso.

Avevo tredici anni quando venni ammessa a un laboratorio teatrale tenuto dal Teatro Stabile di Catania, ricordo che quasi non mi presentai ai provini perché’ l’idea mi terrorizzava…ma fortunatamente alla fine mi presentai!

Dopo quell’esperienza, ho continuato per cinque anni a studiare con Gianni Salvo, che ringrazierò sempre per avermi regalato la scoperta di Bertolt Brecht, la dignità, l’asciuttezza del suo Teatro, il rigore intellettuale e ideologico di questo grande Autore che ha influenzato la mia vita più di quanto avrei immaginato, e negli anni continuato a studiare e lavorare con diverse compagnie di ricerca.

L’incontro con il mondo delle webserie è stato coerente con questa idea di arte come studio e sperimentazione costante, così come l’incontro con Andrea Galata: ci siamo conosciuti al Teatro Valle durante il periodo magico dell’occupazione, un incredibile collettore di energie e amore per la cultura convogliate in un luogo simbolo del Teatro.

Poco tempo dopo, per un’altra serie di circostanze tutte assolutamente imprevedibili, è venuto fuori il progetto The Ushers. Era il 2013, e ancora in Italia, ma non solo, quello delle webserie era un mondo decisamente inesplorato: per noi è stata la possibilità di sperimentare in piena libertà il potenziale creativo, produttivo e comunicativo del web, in un mondo che era ancora privo di regole ben precise.

The Ushers e’ stata girata in 14 Paesi in giro per il mondo, in 4 diversi Continenti, l’abbiamo scritta, prodotta (interpretiamo anche due personaggi) e Andrea ha diretto questo esperimento e ad un certo punto questa creatura ha iniziato a viver di vita propria: piano piano colleghi provenienti da diverse parti del mondo hanno cominciato a chiamarci, chiedendoci di partecipare al progetto, e noi abbiamo cercato di accogliere tutti, inventandoci ogni volta un modo per aggiungere un pezzo ad una architettura narrativa già piuttosto complessa.

E io credo che questo sia stato possibile solo grazie a due elementi fondamentali: il rigore, la cura e il coraggio con cui Andrea si è assunto la responsabilità di dirigere questa macchina folle, e la nostra idea di Arte come linguaggio universale.

The Ushers è girata in diverse lingue, ma la vera difficoltà è stata trovare un linguaggio comune che potesse attraversare migliaia di chilometri e background culturali diversi, e quel linguaggio è stato per noi quello dei simboli, degli archetipi universali, all’interno di una struttura inclusiva e diffusa.

3 – Arrivi dalla Sicilia, poi trasferita a Roma e ora vivi a New York: un bel percorso anche questo. Ci puoi descrivere emotivamente cosa comporta questo viaggio che poi è anche interiore?

Da quando mi sono trasferita a New York mi firmo #agirlfromtheislandinnewyork, la ragazza dell’Isola a New York. La mia bellissima Isola, la Sicilia, è una terra vicinissima al resto del mondo e al contempo lontanissima: un braccio di mare lungo solo tre chilometri ci separa dal resto d’Italia e siamo al centro del Mediterraneo, storicamente cuore del mondo.

Eppure, essere un’isola significa essere al contempo lontani da tutto, perché’ intorno a te c’è il mare, e il mare è una strada da percorrere per andare ovunque ma anche un confine dal resto del mondo. Partire per tornare, tornare per ripartire, questo animo un po’ marinaio ha sempre fatto parte di me, con la meraviglia della scoperta e la malinconia della partenza.

Roma e New York sono in qualche modo le due capitali dell’Impero, una dell’Impero Romano, di quello che all’epoca era il mondo conosciuto, l’altra del mondo moderno, entrambe crocevia di culture, lingue, arte. È un dono avere oggi la possibilità di vivere a cavallo fra questi mondi, essere parte di un’umanità in movimento in cui, specialmente a New York, non sei mai del tutto a casa, ma neanche del tutto straniero, perché’ tutti vengono da qualche altra parte e alla fine, siamo tutti un po’ stranieri e tutti un po’ a casa qui nella Grande Mela.

Chiara De Caroli mee too Twitter

4 – Da tempo ti stiamo anche vedendo e apprezzando moltissimo per alcuni tuoi monologhi in lingua inglese sia su Facebook che Instagram. Tutti tratti da opere di prestigio e famosissime. Cosa ti ha portato a questa scelta e come ti prepari?

Circa un anno fa ho avuto il grande onore di essere invitata, insieme ad Andrea, alle celebrazioni per il 72mo anniversario della fondazione della Nazioni Unite qui a New York organizzate dall’UCT Unesco.

Ho vissuto questo invito con grande emozione ma anche con un forte senso di responsabilità, perché ho sempre avuto l’idea che l’Arte debba servire uno scopo sociale, che ogni scelta artistica sia “politica” nel senso in cui lo intendevano Artaud, Heiner Müller e Brecht, perché’ l’atto artistico è un atto magico, in cui la parola non solo rinforza le idee che divulga, ma le trasforma in realtà. Credo che sia iniziato tutto da lì.

Ogni monologo è un “semino” che pianto, ed è per questo che cerco sempre di accompagnarli con una didascalia che racconti qualcosa di quel brano e del perché’ l’ho scelto. 

Ho pubblicato il primo monologo il primo Marzo, e da allora ho continuato, ogni settimana, cercando sempre un brano che riflettesse la tematica del momento in cui veniva pubblicato. Perché’ la buona letteratura, il buon Teatro, la buona scrittura, in generale, ci raccontano tutto quello che c’è da raccontare, sono sempre attuali, perché’ si fondano su quegli archetipi universali che non cambiano mai.

A volte scelgo pezzi più celebri, altre volte sono autori meno conosciuti ma non per questo meno straordinari nell’andare dritti al cuore della questione.

E poi mi diverto, ed è uno studio pazzesco: ad oggi sono oltre quaranta -40!- monologhi, per me è uno strumento incredibile e l’occasione di sperimentare quello che mi piace come mi piace, il mio spazio di libertà assoluta in cui io mi dirigo, scelgo lo stile, il trucco, il costume, tutto, dall’inizio alla fine, e scopro ogni volta qualcosa di nuovo anche su me stessa.

Per preparare questo tipo di lavoro trovo molto utile una combinazione di alcuni esercizi di Strasberg, ma cosa faccio esattamente è il mio piccolo segreto!

5 – Seguendo e leggendo un po’ il tuo percorso artistico ed essendo noi un blog di televisione la domanda nasce spontanea: sei una di quelle artiste che sembra molto lontana dai riflettori tradizionali come tv, reality show. Perché? Per scelta personale o altro?

Non ho assolutamente niente contro la televisione, specialmente da quando grazie a piattaforme come Netflix (ma non solo) il livello degli show televisivi è schizzato alle stelle, spingendo anche altri competitor ad alzare la barra della qualità.

Credo che semplicemente, al momento il mio percorso mi abbia portata altrove. In Italia la mia formazione è stata principalmente a teatro, e venendo dalla terra del Teatro Greco di Siracusa ritengo sia stato semplicemente un percorso naturale, qui a New York sto facendo più cinema, sto lavorando ad alcuni progetti in 360VR, e la scorsa estate ho danzato a Seoul davanti a una platea di oltre mille persone insieme ad Andrea e ad un altro “italiano a New York”, il mio amico e talentuoso musicista Cristiano Adiutori (e abbiamo anche ricevuto un bel premio per il videoclip di Exvolver, brano di Cristiano girato in 360 a New York attraverso la danza di Andrea). E mentre studio, resto aperta alle possibilità del futuro!

6 – A me personalmente comunichi molto, ti trovo emozionante ed emozionale poi leggo che sei anche una fotografa e penso che oltre la recitazione e la scrittura è un’altra arte molto intima ed empatica: ci puoi raccontare anche questo?

Beh, grazie! Mi piacciono queste due parole che hai scelto: intima ed empatica.

Come accennavo più su, vivo il rapporto con la fotografia con grande delicatezza e rispetto per i soggetti che ritraggo, e in qualche modo questo stesso atteggiamento me lo porto dietro nell’approcciarmi alla narrazione delle vite degli altri. L’equilibrio fra la curiosità e il desiderio di raccontare una storia e il rispetto per chi in quella storia si rivedrà è delicato e importante e va maneggiato con cura. 

7 – Attualmente a cosa stai lavorando? Progetti futuri o anche nell’immediato di cui puoi parlarci?

Ci sono diverse cose in ballo, un paio di progetti filmici, un art film con una regista con cui ho lavorato lo scorso anno e che mi ha chiamata per lavorare di nuovo insieme, altri progetti sperimentali in 360VR cui prenderò parte come danzatrice, il mio lavoro come stilista qui a New York e un paio di progetti di scrittura e produzione con Andrea che credo sia il momento di riprendere in mano e portare alla luce.

E poi chissà, ogni giorno si cresce un po’ e ogni giorno porta con se’ la scoperta di un nuovo desiderio, di nuove cose da fare, da studiare…a proposito: a Marzo i miei #monologuethursday compiono un anno: che dite, continuo?

Intervista a cura di Giuseppe Ino

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