American Horror Story 7×06: Recensione

American Horror Story 7×06: Recensione

Il sesto episodio di American Horror Story: Cult rimette in gioco Sarah Paulson, e questo non aiuta. Ecco la nostra recensione di Mid-Western Assassin!

  • Titolo originale American Horror Story: Cult
  • Paese Stati Uniti d’America
  • Anno – 2010 (in corso…)
  • Genere – horror
  • Stagioni – 7
  • Episodi – 10
  • Durata – 47 min (episodio)
  • Lingua originale – inglese
  • Cast – Evan Peters, Sarah Paulson

Dopo un quinto episodio notevole che ha fatto riemergere quel lato sadico e orrorifico di American Horror Story, con il sesto appuntamento intitolato “Mid-Western Assassin”, Cult torna sulla retta via della narrazione per concentrarsi di nuovo su Ally dopo le scorse parentesi narrative incentrate su Kai e la sua setta.

Episodio questo che tra le altre cose avrebbe dovuto mettere in scena una strage di grosse proporzioni, ma dopo la sparatoria a Los Angeles gli autori hanno preferito la via della censura edulcorando la sequenza in questione con un montaggio tattico volto a limitarne l’efferratezza.

Dopo gli avvertimenti da parte di Meadow, Ally decide di non fidarsi più di nessuno, neanche di Ivy, e decide così di affidarsi al suo psicologo Vincent, che nello scorso episodio abbiamo scoperto essere proprio il fratello di Kai.

La donna sembra aver trovato un fidato alleato in Meadow dopo averla salvata, ma ancora una volta ogni situazione e ogni ragionamento è figlio di un piano orchestrato a tavolino dallo stesso Kai per sfruttare i propri “discepoli” con l’obiettivo di costruire una rete di caos e manipolare di conseguenza l’opinione pubblica. Per tutto l’episodio vi è la volontà di ingannare lo spettatore giocando sulla fragilità di una donna ormai esasperata, ma nel momento in cui ci si affida ad un gesto registico e narrativo così artificioso capiamo subito che non sarà la Paulson a sparare in pubblico durante il comizio di Kai. L’inganno funziona solo in parte, rivelandosi un timido depistaggio per nascondere il fatto che sia Meadow l’artefice di una strage architettata dallo stesso Kai per influenzare le masse e guadagnare consensi.

Prevedibile anche la risoluzione della competizione politica, che si chiude (ovviamente) con un tragico esito per la concorrente di Kai, le cui idee vengono riformulate con una lettera di suicidio di dominio pubblico su Facebook. Qui inoltre ci si riallaccia a quella gogna mediatica derivata dai social, e dalle loro influenze con una semplice frase efficace da parte di Kai: “E’ Facebook”.

E per non farsi mancare nulla, l’episodio cerca di addentrarsi maggiormente anche sulle motivazioni che hanno spinto Ivy ad odiare Ally. Apprendiamo che Ally è la madre naturale di Oz, e che Ivy non si è mai sentita una vera madre nei suoi confronti, a questo vanno ad associarsi altri elementi che hanno ingigantico e portato alla rottura del loro rapporto.

Anche se vengono messe in disparte altre sottotrame, la sensazione è che Murphy abbia concentrato troppe storie e troppi elementi in una serie che fatica a reggere undici episodi, e quindi si ritrovano tanti momenti riempitivi e ripetitivi di situazioni già viste in precedenza. Un problema che da anni perseguita gli show creati da Murphy.



Commento finale

Mid-Western Assassin è retorico, cerca di raggirare lo spettatore con metodi ormai fin troppo convenzionali per ottenere un plot twist sotto gli occhi di tutti. Ma è soprattutto riempitivo in tanti punti, inutilmente didascalico per rimarcare degli elementi di critica già approfonditi in precedenza. Al personaggio della Sarah Paulson viene affidato l’incarico più difficile di tutti: reggere una stagione sulle sue spalle a colpi di urla e pianti isterici che trasmettono nello spettatore solo noia e, tanta tanta voglia di cambiare canale.

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